Consensi di pubblico e critica premiano una novità assoluta per un teatro d’opera italiano.
Molto atteso il debutto di Bintou Were, a Sahel Opera (abridged version) al Teatro Massimo di Palermo venerdì 15 giugno, spettacolo che non poteva intonarsi meglio al concept geoglobale e interculturale della Biennale Manifesta 12, di cui il lavoro ha costituito l’antefatto, in coincidenza con l’avvio della programmazione estiva.
L’opera infatti è generata da una collaborazione internazionale panafricana: il libretto è di Koulsy Lamko (Ciad) e Wasis Diop (Senegal), la musica di Zé Manel Fortes (Guinea-Bissau) e fu rappresentata per la prima volta il 17 febbraio 2007 a Bamako (Mali), descrivendo l’epopea della protagonista Bintou Wéré insieme al tentativo di riscatto di un gruppo di giovani africani quotidianamente impegnati nella difesa del bene supremo (ultimo loro rimasto) della vita.
Con grande anticipo sui tempi, rispetto ai tragici eventi delle cronache attuali, si desta l’attenzione sugli insostenibili squilibri del mondo interconnesso, indagando il significato di una possibile armoniosa coesistenza nel “giardino planetario”, di cui tutti siamo ospiti temporanei e giardinieri, corresponsabili fruitori ed amministratori: una metafora che, rivelando l’insania di chi, volendo approfittare del giardino, tenti di ergervi inutili steccati, pone l'accento sull'indispensabile collaborazione tra i residenti per la fragile sopravvivenza dello stesso.
Bintou Wéré, un progetto transcontinentale
Per secoli, pur godendo di una pregevole tradizione musicale, la mancanza di mezzi e le ristrettezze hanno privato il continente africano di un teatro d’opera autonomo, lasciando che altri -compositori provenienti dai Paesi occidentali un tempo colonizzatori- ne raccontassero dalla propria prospettiva tradizioni e problematiche. Si arriva così al progetto di emancipazione culturale promosso dal Prince Claus Fund, associazione no profit gestita e finanziata dai reali d’Olanda (venerdì scorso presenti alla prima al Teatro Massimo); nel 2007 una giuria cui prende parte Robert Wilson individua come vincitrice Bintou Wéré, opera multietnica scritta in quattro lingue da autori del luogo e destinata ad una rapida tournée transcontinentale di successi, dal Mali al Théâtre du Châtelet di Parigi.
La presente edizione, messa in scena per la regia di Massimo Luconi con un cast di interpreti africani, riadattata grazie all’Orchestra e al Coro Interculturale del Conservatorio di Palermo, restituisce così giusto valore all’intuizione originale dei tre compositori, da sempre impegnati in un attivismo democratico a favore dei rispettivi Paesi d’origine e in simbiosi con l’ispirazione artistico-creativa di ciascuno.
La lirica africana in attesa di vera democrazia
Sorprende in effetti la scarsa risonanza accordata finora ad uno spettacolo tanto significativo nel decennio trascorso dal suo esordio, in assenza di ulteriori rappresentazioni o di un’adeguata campagna di promozione mediatica, accompagnata da recensioni e analisi critico-musicologiche. Mentre nuove forme di colonialismo -ben peggiori, in quanto più subdole delle precedenti- allignano a livello globale, il valore intrinseco dei prodotti culturali africani sembra costituire ancora un’ammirevole eccezione, tale da indurre alla meraviglia.
Ma la musica d'Africa -con particolare riguardo alla lirica- attende solo di ricevere la meritata considerazione, nella speranza che la rinascita del teatro d’opera -analogamente a quanto avvenuto nel Risorgimento italiano con il melodramma- si accompagni ad una vera rigenerazione sociale, un ripensamento di atavici retaggi in grado di restituire indipendenza e orgoglio identitario ad un Continente da sempre bistrattato.